Traumatologia dello sport

La traumatologia dello sport

La traumatologia dello sport è una specializzazione della traumatologia che si occupa di prevenire, riconoscere e trattare le lesioni che si verificano durante l’attività sportiva, permettendo agli atleti di tornare alla loro pratica sportiva nel miglior modo e nel minor tempo possibile. La traumatologia sportiva è un campo dell’ortopedia relativamente recente, più diffuso in altri paesi con specialisti (traumatologi sportivi), e che ora sta prendendo piede anche nel nostro.

Ha visto una crescita progressiva legata sia all’aumento della pratica sportiva, sia all’incremento dello stress articolare correlabile ai gesti atletici specifici (velocità di esecuzione e di gioco) e alle caratteristiche fisiche degli atleti (aumento di altezza e massa corporea) rispetto al passato.

Rispetto alla traumatologia tradizionale, la tipologia del paziente e gli obiettivi dell’intervento sono molto diversi, trattandosi di persone giovani, la cui attività sportiva, anche di alto livello, è stata interrotta da un infortunio, e che desiderano tornare rapidamente agli allenamenti e alle competizioni. Dato che le aspettative del paziente sono molto elevate, è fondamentale affidarsi a esperti nel campo della traumatologia sportiva. Lo sport ha un ruolo centrale nella vita di questi pazienti non solo per le motivazioni agonistiche ma anche per il benessere fisico e psicologico; quindi, la sofferenza legata al trauma e alla conseguente disabilità influisce sulla qualità della vita e il recupero completo e rapido è essenziale.

La patologie che colpiscono le persone sportive possono essere divise in due grandi gruppi: acute o croniche.

PATOLOGIE ACUTE

Le patologie acute sono legate a traumi improvvisi, come traumi contusivi, distorsioni, fratture, ecc. Il paziente di solito riconosce chiaramente il momento e il tipo di trauma, che lo ha costretto a interrompere l’attività. Le patologie acute più comuni negli atleti includono traumi contusivi e distorsivi, come distorsioni di caviglia, distorsioni di ginocchio, lussazioni di spalla, rotture tendinee, in particolare del tendine d’Achille.

PATOLOGIE CRONICHE

Le patologie croniche sono quelle che affliggono il paziente per più di sei settimane al momento della visita. Queste sono spesso più difficili da diagnosticare perché insorgono in modo graduale e il paziente non è in grado di indicare un momento preciso in cui è iniziato il problema. Il dolore tende a peggiorare nel tempo, inizialmente percepito solo dopo l’attività fisica, ma poi presente anche durante l’attività. Ciò può costringere l’atleta a sospendere lo sport. Le patologie croniche sono più difficili da trattare perché spesso il paziente arriva alla diagnosi dopo aver consultato diversi specialisti e provato molte terapie, quando il problema è già avanzato. Le patologie dei tendini sono tra le più comuni patologie sportive croniche.

Gestione delle lesioni sportive

La traumatologia sportiva ha un ruolo di primaria importanza nella medicina dello sport, con numerosi studi e ricerche dedicate a questa disciplina medica. Le recenti scoperte evidenziano la necessità di trattare l’atleta infortunato in modo diverso rispetto al paziente comune. Nonostante si parli di condizioni come gomito del tennista, ginocchio del saltatore e tallone del corridore, queste patologie non sono esclusivamente degli sportivi, ma spesso si osservano anche in altre categorie di pazienti.

Tuttavia, il trattamento delle lesioni sportive è differente. Gestire un atleta comporta sfide specifiche; lo sportivo vuole sapere di quale lesione soffre, la causa, i tempi di recupero e il ritorno alle capacità agonistiche precedenti, la possibilità di recidiva, in sintesi richiede un recupero funzionale completo nel minor tempo possibile. Il paziente non sportivo, invece, generalmente cerca la guarigione della lesione indipendentemente dal metodo terapeutico e dal tempo necessario.

Per questo motivo, il Traumatologo dello Sport deve fornire massima comunicazione e informazione all’atleta traumatizzato e impostare programmi terapeutici mirati al recupero completo dell’atleta nel minor tempo possibile.

Il medico sportivo deve considerare il tipo di lesione, il trattamento e i tempi di recupero, mantenendo un rapporto stretto con l’allenatore e la società sportiva dell’atleta. Solo la collaborazione tra tutte le parti coinvolte può garantire il recupero completo dell’atleta. Inoltre, il traumatologo sportivo deve essere ben informato sulle tecniche e metodologie per prevenire gli infortuni sportivi, poiché la prevenzione è nell’interesse di tutti: atleta, allenatore, società, ecc.

Prevenzione nella traumatologia sportiva

La conoscenza delle ricerche sulla prevenzione degli infortuni sportivi è cruciale. Ci sono studi sull’uso delle scarpe da calcio per prevenire lesioni al ginocchio e alla caviglia, sui meccanismi lesivi della colonna vertebrale nei giocatori di football americano, sull’uso del casco e delle visiere protettive negli sport motoristici e sull’importanza degli attrezzi nella prevenzione delle lesioni traumatiche nello sci.

È fondamentale avere esperienza nel trattamento delle lesioni comuni nella pratica sportiva, come distorsioni di caviglia e ginocchio con o senza lesioni legamentose, tendiniti, problemi di appoggio, rachialgie, ecc.

LA LESIONE DEL MENISCO

Menisco: classificazioni, sintomi e trattamenti delle lesioni meniscali

Le lesioni dei menischi (interno o esterno) sono tra le patologie ortopediche più comuni che interessano l’articolazione del ginocchio.

Cosa sono i menischi? I menischi, uno mediale e uno laterale per ogni ginocchio, sono piccoli anelli di tessuto fibrocartilagineo che servono ad assorbire gli impatti e a ridurre le sollecitazioni meccaniche tra il femore e la tibia, proteggendo così la cartilagine che ricopre questi due capi ossei.

Quanti tipi di lesioni esistono? Le lesioni meniscali possono essere classificate in due grandi categorie: quelle traumatiche, tipiche dei giovani e degli sportivi, e quelle degenerative, dovute a microtraumi ripetuti e più comuni nelle persone anziane. Esiste anche una classificazione basata sul decorso della lesione.

Il trattamento varia ovviamente da individuo a individuo e dipende da diversi fattori, tra cui il tipo di lesione (traumatica o degenerativa), l’età del paziente, le sue esigenze funzionali e abitudini sportive, oltre alla presenza di dolore (è importante notare che molte lesioni meniscali, soprattutto degenerative, possono diventare asintomatiche nel tempo).

Quali sono i sintomi di una lesione meniscale? I sintomi di una lesione meniscale, sia essa mediale o laterale, includono dolore e limitazione funzionale, specialmente nel salire le scale o inginocchiarsi. Esistono test specifici che possono suggerire un sospetto clinico, seguito da un esame diagnostico, generalmente una risonanza magnetica nucleare, per confermare la lesione.

I sintomi variano leggermente a seconda che la lesione sia traumatica o degenerativa: nel caso di una lesione traumatica, il dolore si manifesta immediatamente dopo un trauma e può essere molto intenso, fino a causare un blocco articolare (che si verifica quando un frammento del menisco si stacca parzialmente o completamente e si muove liberamente nel ginocchio). Nel caso di una lesione degenerativa, i sintomi insorgono lentamente, peggiorando gradualmente e causando limitazione funzionale senza blocco articolare.

Come decidere il trattamento di una lesione meniscale? La premessa più importante è che il menisco viene trattato solo se causa sintomi o limita la qualità di vita del paziente. È importante sottolinearlo perché alcune lesioni meniscali, dopo un periodo di sintomi, possono risolversi da sole senza più causare dolore: in questi casi, non è consigliato alcun trattamento, né tanto meno un intervento chirurgico.

Per le lesioni traumatiche in soggetti giovani e sportivi, il trattamento è più probabilmente chirurgico. Per le lesioni degenerative in pazienti anziani, invece, la terapia sarà principalmente conservativa e raramente chirurgica.

Esistono naturalmente delle eccezioni, come le lesioni traumatiche in adulti o le lesioni degenerative in giovani adulti, che devono essere valutate caso per caso e discusse con il paziente.

In cosa consiste il trattamento di una lesione meniscale? La terapia conservativa di una lesione meniscale mira solo a eliminare i sintomi, cioè il dolore, senza pretendere di risolvere il problema. Infatti, quando si verifica una lesione meniscale, la riparazione naturale non è possibile poiché i menischi non sono vascolarizzati. La terapia conservativa include laserterapia, tecarterapia, fisioterapia, massoterapia, antinfiammatori al bisogno e applicazione di ghiaccio locale.

Il trattamento chirurgico, invece, consiste nella meniscectomia selettiva, ossia nella rimozione in artroscopia della sola parte lesionata. La sutura meniscale è riservata a casi particolari, come pazienti giovani con lesioni longitudinali vicine al bordo meniscale, che è la parte del menisco vicino alla capsula articolare e che riceve un apporto di sangue.

Il dolore causato da questa lesione viene generalmente risolto con un piccolo intervento artroscopico in regime di day-hospital, attraverso due piccoli accessi chirurgici di circa un centimetro.

LESIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE DEL GINOCCHIO

Che cos’è il legamento crociato anteriore? Il legamento crociato anteriore, insieme al legamento crociato posteriore, è il principale stabilizzatore del ginocchio. La sua funzione è impedire la traslazione anteriore del femore rispetto alla tibia. È costituito da due fasci fibrosi: il fascio antero-mediale (più spesso) e il fascio postero-laterale (più sottile).

Quali sono le cause della sua rottura? La causa più comune di rottura è una distorsione del ginocchio con piede fisso al suolo e rotazione esterna sotto stress in valgo. Gli sport più frequentemente associati a questa lesione sono calcio, sci e basket. La lesione, parziale o totale, di uno o entrambi i fasci può accompagnarsi a lesioni di altre strutture del ginocchio, come menischi, legamenti collaterali, legamento crociato posteriore e cartilagine.

Quali sono i sintomi della lesione del legamento crociato anteriore? Il paziente con una lesione del legamento crociato anteriore riporta dolore, calore e gonfiore al ginocchio, con significativa limitazione funzionale. Il gonfiore e il dolore di solito si risolvono entro due settimane di riposo, ma l’instabilità direzionale persiste, il che può portare a nuove distorsioni e lesioni articolari, predisponendo a un’artrosi precoce. Per questo motivo, la riparazione è spesso consigliata per i soggetti giovani e sportivi.

Come si esegue la diagnosi? L’esame clinico è fondamentale: test diagnostici specifici eseguiti da esperti possono essere più accurati di qualsiasi esame strumentale. Tuttavia, la risonanza magnetica nucleare è indicata in tutti i casi sospetti e certi, soprattutto per evidenziare lesioni meniscali o cartilaginee associate. Anche la radiografia è utile per identificare eventuali fratture associate.

I test clinici più importanti sono il test di Lachman e il test di Jerk.

Quando eseguire la ricostruzione chirurgica? L’indicazione per l’intervento chirurgico non è assoluta e va valutata caso per caso, in base ai sintomi clinici e alle esigenze funzionali del paziente. Generalmente, nei pazienti giovani e sportivi si preferisce la ricostruzione del legamento per prevenire nuovi infortuni e l’artrosi secondaria. Nei pazienti adulti non sportivi si preferisce il trattamento conservativo con ginocchiera, riposo, fisioterapia e rinforzo muscolare. Esiste poi una zona grigia per i giovani adulti poco sportivi, dove la decisione viene presa caso per caso in base alle esigenze funzionali e alle aspettative del paziente.

In cosa consiste la tecnica chirurgica? Il legamento crociato anteriore può essere ricostruito in artroscopia con tecnica mini-invasiva, prelevando due tendini dal paziente stesso (metodo tradizionale), utilizzando il tendine rotuleo (soprattutto nei calciatori), oppure impiegando il legamento di un donatore o un legamento artificiale (soprattutto nei pazienti meno giovani). Nei casi di lesione parziale, si può optare per il ritensionamento e il rinforzo del fascio lesionato.

L’intervento si divide in quattro fasi:

  1. Rimozione del residuo del legamento crociato anteriore e pulizia delle superfici ossee su cui si appoggerà il neo-legamento.
  2. Prelievo del tendine.
  3. Creazione dei tunnel tibiale e femorale.
  4. Fissazione del neo-legamento prima al femore e poi alla tibia.

Si tratta di un intervento in cui la fisioterapia gioca un ruolo cruciale. È importante individuare, prima dell’intervento, una struttura adeguata dove operino fisioterapisti esperti nel recupero di atleti infortunati o reduci da interventi chirurgici.

LE FRATTURE DA STRESS

Cosa si intende per frattura da stress? Una frattura da stress è una frattura causata da microtraumi ripetuti che colpiscono un osso sano. È importante distinguerle dalle fratture da insufficienza (frequenti nel calcagno), che si verificano a seguito di un trauma su un osso patologico, come quello osteoporotico, irradiato, infetto o neoplastico.

Fratture da stress Le prime fratture da stress furono descritte nel 1855 dal chirurgo militare prussiano Breithaupt, che le osservò nei soldati con dolore ai piedi dopo lunghe marce.

Oggi le fratture da stress rappresentano circa il 2% di tutti i traumi sportivi e si stima che circa il 40% degli atleti ne abbia sofferto almeno una volta nella carriera.

Le fratture da stress si verificano quando i microtraumi ripetuti causano un carico eccessivo sull’osso, superando la sua capacità riparativa.

In teoria, qualsiasi osso può essere colpito, ma per ovvie ragioni gravitazionali, le ossa degli arti inferiori sono le più colpite (95%).

In particolare, è l’osso corticale a essere più frequentemente colpito a causa della sua ridotta capacità riparativa rispetto all’osso midollare.

Le sedi più comuni delle fratture da stress sono: tibia, femore, ossa metatarsali, ossa del tarso, pelvi e perone. Nei soggetti in fase di crescita possono verificarsi anche avulsioni apofisarie, come quelle della tuberosità ischiatica, della spina iliaca antero-superiore, antero-inferiore e della cresta iliaca.

Quali sono i sintomi di una frattura da stress? I sintomi delle fratture da stress non sono specifici, il che spesso porta a una diagnosi tardiva. Dolore e gonfiore sono i sintomi più comuni: il dolore aumenta con il carico e l’attività fisica, fino a diventare presente anche a riposo se la frattura non viene riconosciuta.

Come si esegue la diagnosi di frattura da stress e quali sono i fattori di rischio? Come già accennato, la diagnosi è spesso tardiva perché i sintomi non sono specifici e la radiografia convenzionale può risultare negativa. In caso di sospetto di frattura da stress, l’esame di prima scelta è la risonanza magnetica. La scintigrafia ossea può essere utile nei casi dubbi, ma raramente è necessaria.

Il sesso femminile è un fattore di rischio, correlato a disturbi ormonali. Altri fattori di rischio includono il fumo, l’assunzione di alcol, disturbi alimentari e la triade dell’atleta, che predispone le sportive a un elevato rischio di fratture da stress.

Cosa si intende per triade dell’atleta femmina? La triade dell’atleta femmina si riferisce alla presenza di amenorrea (o disturbi del ciclo mestruale), osteoporosi e disturbi alimentari, identificata per la prima volta nel 1992.

I disturbi del ciclo mestruale possono essere definiti come oligomenorrea (ciclo mestruale a intervalli maggiori di 35 giorni) o amenorrea (ciclo mestruale a intervalli maggiori di 3 mesi). L’amenorrea può essere primaria (ritardo nella comparsa della prima mestruazione) o secondaria (inizia dopo il menarca).

L’osteoporosi indica un deficit quantitativo e qualitativo dell’osso, con insufficiente mineralizzazione e alterata qualità delle proteine ossee. Si diagnostica con la MOC (mineralometria ossea computerizzata), che misura il T-score (differenza tra la densità ossea del paziente e il valore medio della popolazione sana) e lo Z-score (differenza tra la densità ossea del paziente e il valore di riferimento per età e sesso).

I disturbi alimentari più comuni sono l’anoressia nervosa (dieta restrittiva con percezione errata del proprio peso) e la bulimia nervosa (abbuffate seguite da purghe compensatorie). Questi disturbi portano a un’insufficiente disponibilità energetica, che compromette la salute complessiva dell’organismo.

Esiste un modo per prevenire le fratture da stress? Sì, la prevenzione è possibile e consiste nell’eliminazione dei fattori di rischio. È necessario smettere di fumare, evitare l’alcol, correggere difetti di dismetria degli arti inferiori con supporti ortesici, correggere i disturbi alimentari e l’eventuale osteoporosi associata, e ridistribuire i carichi di lavoro durante la settimana. L’integrazione di calcio e vitamina D è controversa, così come l’uso dei bifosfonati.

Qual è la terapia migliore per le fratture da stress? Il trattamento dipende dalla fase in cui viene diagnosticata la frattura e dal tipo di osso coinvolto. Il primo approccio è quasi sempre conservativo, a meno che non si tratti di fratture scomposte a carico del collo del femore.

La prima cosa da fare è ridurre l’attività sportiva fino a raggiungere una condizione di benessere, associando un adeguato programma riabilitativo per mantenere un buon tono muscolare e cardiovascolare. La terapia farmacologica migliore è l’acetaminofene (i FANS sono sconsigliati perché possono inibire la guarigione ossea in alcuni studi animali).

La biostimolazione ossea (elettrica o con onde elettromagnetiche) è di controversa utilità, anche se spesso prescritta perché innocua e poco costosa. Nei casi particolarmente dolorosi può essere indicato l’utilizzo delle stampelle, soprattutto per le fratture degli arti inferiori.

Le fratture da stress con prognosi peggiore sono quelle del collo del femore, potenzialmente instabili e a rischio di pseudoartrosi se non trattate adeguatamente. La localizzazione più frequente nel femore è la corticale mediale dei due terzi superiori, dove c’è una notevole concentrazione di forze, soprattutto nella zona compresa tra l’inserzione del vasto mediale e dell’adduttore breve.

IL MORBO DI HAGLUND

Che cos’è il morbo di Haglund? Il morbo di Haglund è una patologia degenerativa del retropiede, caratterizzata da una osteocondrosi dell’apofisi calcaneare posteriore, che porta alla comparsa di un’esostosi dell’angolo postero-superiore del calcagno e una borsite retrocalcaneare. Questa esostosi è una prominenza ossea che irrita meccanicamente la borsa retrocalcaneare e il tendine d’Achille, causando una tendinopatia degenerativa inserzionale.

Questa condizione è spesso bilaterale e molto comune tra atleti, maratoneti e corridori di età compresa tra 20 e 50 anni, a causa delle numerose sollecitazioni che il calcagno subisce.

Il morbo di Haglund è una patologia idiopatica che si sviluppa molto lentamente nel corso degli anni. Può essere anche una conseguenza dell’osteocondrite adolescenziale del calcagno, nota come sindrome di Sever-Blanke-Haglund, che tende a risolversi con la crescita e risulta asintomatica nella maggior parte dei casi.

Quali sono i fattori di rischio per sviluppare il morbo di Haglund? I fattori di rischio includono l’uso di calzature non adatte, alterazioni anatomiche del piede come il varismo del retropiede, l’equilibrio alterato del piede come nel piattismo e nel cavismo, e un esercizio fisico scorretto, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Come si esegue la diagnosi di Morbo di Haglund? La diagnosi si basa sulla valutazione clinica e strumentale. I segni clinici principali sono dolore posteriore al calcagno, associato a gonfiore, arrossamento e ipercheratosi cutanea (segni di irritazione cronica). Nelle fasi avanzate può comparire una prominenza ossea calcaneare dolorosa alla palpazione. Il dolore, inizialmente limitato all’inserzione del tendine d’Achille, può estendersi al terzo inferiore del tendine, spesso indicativo di una tendinopatia degenerativa associata.

Gli esami strumentali utili per la diagnosi includono la radiografia convenzionale, che può evidenziare l’esostosi calcaneare e le eventuali calcificazioni associate, e la risonanza magnetica nucleare, che mostra l’esostosi, la struttura del tendine, il suo stato e la borsite retrocalcaneare associata.

In che cosa consiste il trattamento del morbo di Haglund? Il primo approccio è generalmente conservativo, anche se nei casi avanzati questa scelta può non avere successo, specialmente nei pazienti sportivi con elevate esigenze funzionali. Il trattamento conservativo include:

  • Utilizzo di calzature adeguate con apertura posteriore per alleviare il calcagno;
  • Talloniere per attutire i traumi e ridurre la tensione sul tendine d’Achille;
  • Esame baropodometrico e plantari su misura;
  • Riposo e riduzione dell’attività fisica;
  • Cicli di fisioterapia mirata;
  • Cicli di laserterapia o tecarterapia.

Nei casi refrattari al trattamento conservativo, si considera l’opzione chirurgica, che è sempre mini-invasiva e consiste nella rimozione dell’esostosi e della borsite retrocalcaneare, apertura della guaina del tendine e rimozione delle aderenze fibrose, scarificazioni del tendine (piccole incisioni longitudinali per stimolare la guarigione) ed eventuali riparazioni di lesioni del versante interno del tendine d’Achille.

Il rientro a casa avviene in giornata o al massimo il giorno successivo all’intervento. Il paziente deve indossare una calzatura ortopedica per qualche settimana e seguire una fisioterapia mirata. Il ritorno allo sport avviene generalmente dopo 2-3 mesi.

ROTTURA SOTTOCUTANEA ACUTA DEL TENDINE D’ACHILLE

La rottura del tendine d’Achille è un trauma piuttosto comune che può colpire sia i pazienti giovani e sportivi che quelli di mezza età e sedentari. Circa il 30% delle rotture sotto-cutanee del tendine d’Achille si verifica in pazienti di età superiore ai 50 anni e non sportivi.

Nei pazienti giovani e attivi, è consigliata la riparazione del tendine tramite sutura. Attualmente esistono diverse tecniche chirurgiche mini-invasive che permettono un rapido recupero funzionale del paziente, riducendo i rischi post-operatori, soprattutto quelli legati alla guarigione della ferita e alle infezioni, garantendo ottimi risultati funzionali a lungo termine.

Per ulteriori informazioni sulla tenoraffia mini-invasiva del tendine d’Achille, consulta le tecniche chirurgiche avanzate.

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